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Manifesto Artistico Personale

“My life is my live”… artisticamente, s’intende, perché la vita è altrove e non sulle assi di un palcoscenico. Tuttavia la sparata anglosassone d’apertura ha motivo di esistere, perché ogni artista/artigiano può avere (anche se non è necessario) una sua specifica metodologia operativa che lo contraddistingue. Qui riporto la mia, e pertanto quello che scrivo qui non ha valore assoluto ma riguarda soltanto la mia figura. Metto nero su bianco queste idee perché mi capita spesso di discutere con colleghi, addetti ai lavori e critici che mi suggeriscono di affrontare ipotesi di spettacoli che esulano completamente dalle mie corde. Io ascolto tutti, rifletto e scrivo i miei pensieri in una sorta di diario analitico personale. Poi mi ritrovo con questi scritti e a volte, come in questo caso, decido di renderli pubblici sia perché esplicitano chiaramente la mia posizione in merito alle scelte che compio (cosa moto utile soprattutto per me), sia perché magari a qualcuno simili congetture possano anche servire, soprattutto se questo “qualcuno” è un giovane artista che sta muovendo i primi passi nel settore.
Una sorta di lectio non petita.
Buona lettura.  

Io appartengo alla categoria dei cosiddetti “performer di piccolo palcoscenico”, quasi tutto quello che scrivo e produco è finalizzato allo spettacolo dal vivo, al “live act” che nasce, cresce e vive sui piccoli palcoscenici ma può approdare anche nei grandi spazi teatrali senza modificare la sua essenza. Lo spettacolo “dal vivo” è sicuramente il prodotto principale di un “performer di piccolo palcoscenico”, perché può essere costruito in maniera semplice, non richiede necessariamente degli investimenti onerosi, ed è un qualcosa che si arricchisce con l’esperienza e la maturazione. Direi che è “il prodotto” per eccellenza, costruito passo dopo passo, tassello dopo tassello, step by step durante tutta la vita artistica.

Del resto non sono un “attore” e ho sempre rinunciato a far parte di compagnie teatrali perché “recitare una parte” è un qualcosa che non è mai stato nelle mie corde. Per questo motivo ho sempre declinato proposte che mi sono state fatte in tal senso.

Io racconto storie, espongo il mio punto di vista, esprimo la mia opinione oppure porto in scena il risultato di ricerche, studi e approfondimenti che ho elaborato in proprio.

Per tutti questi motivi, la tipologia di show più idonea al mio modo di essere è quella del recital. Il recital può esser interpretato in molti modi, ma di base è un incontro informale, confidenziale, basato su scrittura e improvvisazione, permette una gestione colloquiale che diventa, a volte, anche chiacchiera spicciola e dialogo col pubblico. Il recital è un format ideale per gli spettacoli one-man-show di piccolo palcoscenico (locali, auditorium, piazze, teatri) perché si adatta a tutte le situazioni. È malleabile e duttile, non è rigidamente strutturato come una classica rappresentazione teatrale con tanto di regia e tempi precisi da rispettare.  Nello specifico, il mio recital richiede solo un “piazzato bianco”, niente luci colorate né scenografie, bastano un fondale nero (neutro), una sedia, un microfono, una chitarra e un leggio, elementi immortalati nel disegno creato da Umberto Faini per il suo “cabaret immaginario” e diventati poi logo del Trentennale on stage (2015 – 2018) e simbolo dell’Archivio Storico del Cabaret Italiano.

Questo discorso vale in generale per la gran parte della mia attività, basata su serate puntiformi e variegate. Però c’è un “però”…

Perché non si può fare a meno del “teatro”… e quindi o di riffa o di raffa con il “teatro” bisogna strutturare una relazione. Per questo motivo ho elaborato un adattamento delle mie caratteristiche che ho chiamato Teatro Cantastorie con il quale ho messo in scena i seguenti spettacoli:

  1. SULLE SPALLE DEI GIGANTIStoria curiosa della Scienza
  2. DISCORSO SUL METODO DELL’ATTOR COMICO
  3. ALLA RICERCA DEL CABARET PERDUTO
  4. POESIA & CABARETPoeti non allineati per un verso o per l’altro
  5. CAB STORYStorytelling (10 appuntamenti)
  6. BREV ARTSalotto letterario minimalista

Ma in che cosa consiste questo “Teatro Cantastorie”? Qual è la sua logica?

Nella ricerca di uno stile di comunicazione personale, teso a farmi sentire a mio agio sul palco, ho elaborato un mix di idee che mi hanno portato alla visione del teatro esposta in questo breve Manifesto del Teatro Cantastorie.

PERCHÈ LO CHIAMO TEATRO

La parola “teatro” sembra avere un alone sacrale ma spesso serve solo a riempire la bocca a tromboni che – per darsi un tono - vogliono far sembrare le cose più grandi di quello che sono. Ma andando al sodo, che cos’è il “teatro”? Etimologicamente, “teatro” deriva da thea = vista, e significa “ciò che si vede”.  Secondo Strelher, il teatro è quell’evento che si verifica ogni qual volta ci sia una relazione tra almeno un ATTORE che agisca dal vivo e uno SPETTATORE che dal vivo ne segue le azioni.

Date queste premesse, dal punto di vista logico, mi pare di poter dire che il “teatro” non sia una forma d’arte a sé stantema una “situazione”, un momento di esposizione di qualcosa di artistico (RAPPRESENTAZIONE SCENICA) verso altri (PUBBLICO) che per l’appunto, “vedono” o, come si suole dire, “ne fruiscono”.

Schematicamente:

  • Avviene una rappresentazione (Atto scenico – Live Act)
  • C’è un pubblico che assiste

A questo punto capiamo, senza bisogno di spiegazioni, che si può “vedere” di tutto. In quest’ottica – per inciso - anche cabaret, varietà, avanspettacolo, rivista, voudeville, burlesque e animazione da villaggio sono “teatro”. Ovviamente anche la “messa in scena” ha un suo valore artistico/artigianale in termini di regia e sceneggiatura. Tuttavia, per quanto rivesta un ruolo esteticamente ed emozionalmente importante ai fini del confezionamento del prodotto teatrale finito, tale maquillage non è la “conditio sine qua non” necessaria per sdoganare la “teatralità” dell’evento rappresentato, anche se gli “accorgimenti” possono rendere più efficace la rappresentazione, costituendo un valore aggiunto non indifferente.

PERCHE’ “CANTASTORIE”
Perché “Teatro” l’abbiamo visto, perché “Cantastorie” è presto detto.

Gli antichi “cantastorie”, intrattenevano il pubblico raccontando e cantando, appunto, delle storie, che erano anche graficamente rappresentate con dei disegni che le illustravano. I disegni erano indicati dal cantastorie con una lunga bacchetta che, precisando il disegno cui si riferiva il momento narrativo, “teneva il segno” e focalizzava l’attenzione sul punto in cui la storia era arrivata. Oggi io faccio la stessa cosa, solo che al posto dei disegni e della bacchetta uso le slide e il puntatore elettronico. Il vantaggio tecnologico sta nel fatto che le slide non sono tutte presenti contemporaneamente e non svelano anticipatamente tutta la storia, consentendo così di ottenere eventuali “effetti sorpresa” durante il racconto.

 

IL “TEATRO CANTASTORIE” COME FORMA DI COMUNICAZIONE
Quando si presentano argomenti insoliti a una platea - anche se i temi proposti sono importanti e curiosi - l’utilizzo del solo linguaggio parlato, a volte può non avere vita facile nel suscitare e tenere viva l’ATTENZIONE dell’uditorio. Pertanto, allo scopo di favorire e ottimizzare la chiarezza espositiva del tema trattato, diventa utile il ricorso ad altri MEZZI ESPRESSIVI - come per esempio e per l’appunto, la proiezione di immagini, fotografie, schemi riassuntivi, frasi in evidenza, piccoli filmati, accorgimenti che spesso comunicano in modo più chiaro e diretto quello che le parole  da sole non riescono a esprimere. Ovviamente, questi inserimenti ausiliari alternativi devono servire per potenziare, perfezionare, arricchire e integrare l’ESPOSIZIONE VERBALE che rimane comunque l’elemento portante e principale utilizzato per la narrazione.