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La regola e l'eccezione

I luoghi comuni non vengono mai messi in discussione, perché un po’ per abitudine un po’ per la loro semplicità ci sembrano ovvi.
Ma, come diceva il filosofo della scienza Eddington, “L’ovvio non solo è difficile da dimostrare, ma non sempre è vero”.
Prendiamone uno e proviamo a ragionarci sopra: L’eccezione conferma la regola.
Siamo sicuri che sia vero? L’eccezione conferma la regola?

Tanto per cominciare ricordiamo le definizioni del vocabolario:

Regola: ordine delle cose verificato e sentito come stabile, normale… dettato dalla consuetudine dell’esperienza. Modalità convenzionale secondo la quale si svolge un’attività.
Eccezione: mancata applicazione di una regola…Evento che esula dalla normalità…Anomalia.

L’eccezione è dunque la “mancata applicazione di una regola”… quindi come può confermare la regola un qualcos’altro che in realtà la smentisce?
Mah… L'anomalia - nel momento in cui avviene - NON CONFERMA la regola ed è proprio per questo motivo che la chiamiamo, appunto, “eccezione”. Già…però, anche chiamarla “anomalia”, presuppone uno step mentale già effettuato. Anomalia non è un concetto diverso da eccezione. E nemmeno lo “precede” da un punto di vista logico. Anomalia è sinonimo di eccezione. Individuare un’anomalia (o un'eccezione), significa, infatti, che stiamo osservando un fenomeno aspettandoci dei risultati che però in realtà non si verificano, significa cioè che il caso-che-si-è-manifestato si è discostato da un’attesa o da una regolarità (per l'appunto!) che ci si aspettava di trovare. E questa attesa era data da una “norma” o da un “principio” che avevamo già precedentemente adottato o stabilito (cioè una “regola”).
A ben guardare, però, non è solo così. Possiamo adottare un punto di vista più ampio. L'anomalia (l'eccezione), infatti, si può manifestare in due modi.

  1. Quando la regola è già stata stabilita e si verifica un caso nuovo in cui questa stessa regola non viene rispettata;
  2. Quando non esiste ancora alcuna regola, ma nel momento in cui abbiamo davanti un elenco di casi possibili (che stiamo analizzando), notiamo che in quasi tutti viene rispettato un andamento ripetitivo (cosa che ci fa intuire la possibilità di poter stabilire una “regola”) mentre in un caso (o più) questo andamento che ci pare di avere individuato, viene disatteso.

Nel primo caso l'eccezione si manifesta cronologicamente DOPO che abbiamo stabilito una regola (che ci sembrava perfetta), nel secondo esempio (che è interessante e illuminante)  l’anomalia si presenta MENTREstiamo cercando di stabilirla. In questo secondo caso, nonostante sappiamo già da subito che in qualche circostanza la regola che riteniamo di avere individuato non valga, decidiamo lo stesso di adottarla (anche se nasce già con delle “eccezioni = irregolarità” incorporate).

Perché succede questo? Probabilmente la partita si gioca a livello psicologico o inconscio: evidentemente noi amiamo le regole, ci piacciono, sono comode... Perché? Perché soddisfano il nostro desiderio di ordine? Hanno un andamento ritmico che ci incanta? Ci ammalia? Chissà! A volte sembra quasi che noi VOGLIAMO che le cose abbiano un’ armonia, un ritmo, una regolarità.

Nel chiamare “eccezione” una non-manifestazione-di-regolarità, manifestiamo a nostra volta la volontà di mantenere vivo l'ordine che quella regola (in questo frangente disattesa) ci dava. Pertanto, nonostante l'eccezione, ci teniamo buona la regola.
Certo, se le eccezioni cominciano a diventare tante il principio traballa e se diventano troppe il precetto non vale più.

Riassumendo: Nel momento in cui si manifesta, il caso che POI chiameremo “eccezione” NON CONFERMA la regola (anzi, è proprio il fatto di non confermare la regola che ci permette di individuarla) , ma dal momento in cui la riconosciamo come eccezione (anzi, semplicemente per il fatto di chiamarla eccezione) essa CONFERMAl'esistenza di una regola (è un nesso linguistico: infatti, se non esistesse una regola non potrebbe esistere l'eccezione – che, seppur di per sé, però, sia una non manifestazione (cioè una non-conferma) della regola – in quanto nominata eccezione, CONFERMA LA REGOLA.

È quindi la nostra volontà di credere nelle regole che crea l’idea dell’eccezione, e l’eccezione conferma la regola solo perché noi vogliamo che sia così.

Possiamo quindi dire in realtà che l'eccezione fa entrambe le cose: di per sé, quando non ha ancora un nome, NON CONFERMA LA REGOLA ma dopo che l’abbiamo chiamata eccezione CONFERMA LA REGOLA. Dal che si deduce che in realtà siamo noi che confermiamo la regola (cioè la teniamo buona, perché è utile o per chissà quale bisogno inconscio di ordine) nonostante ci siano degli eventi (che di conseguenza, per perseguire i nostri scopi di mantenimento chiamiamo eccezioni) che dimostrano che la regola non c’è.

Tutto questo discorso diventa interessante se lo applichiamo alla legge. Infatti, c’è una regola dice “La legge è uguale per tutti”. Certo, ma poi vediamo che per qualcuno fa eccezione… bene, quando ciò accade non dobbiamo arrabbiarci ma sentirci  più sicuri, perché quell’eccezione conferma la legge, anche se nel contempo ribadisce un altro principio che è quello che ci vede sempre presi per il culo. Una regola sempre confermata. Senza eccezioni.